Autore: Maria Mutata Margherita
Resoconto di una seduta di pratica psicomotoria del gioco libero nel quale si evidenzia come “aggiustarsi” ad un bambino autistico grave per far evolvere una piccolissima scheggia dell’atto affinché possa giungere ad una anticipazione della routine sociale, ovvero a poter chiedere di ripetere un’azione per lui piacevole.
Daniele ha tre anni, il linguaggio è completamente assente, assente ogni azione appena un po’ più strutturata di gioco; lavorare con lui è, soggettivamente, una esperienza difficile, il reale del limite è molto forte, ti investe, ti fa vacillare rispetto al senso.
Corre su e giù per la sala sorridente.
Mi sembra che sia possibile avviare un lavoro partendo da questo andirivieni perché, assieme a forti elementi di stereotipia, appare, anche l’insistenza di una piacevolezza positiva che rende il bambino più disponibile all’altro proprio nel farsi di quest’azione.
Sottolineo ed enfatizzo il ripetersi di questo movimento, scandendone il ritmo spontaneo col suono della mia voce o con il battito delle mie mani. Risponde a questi miei interventi con uno sguardo aperto e con una serie di vocalizzazioni. Di tanto in tanto, torna a cercare il mio sguardo. Entro questo tipo di lavoro si apre una piccola unità d’intervento che considero esplicativa della difficoltà, a volte estrema, di iscrizione di una traccia nel bambino autistico, nella costruzione del piano dell’esperienza. Questa stessa unità di intervento mi pare altresì esplicativa di come orientarsi nella relazione seguendo il piacere senso-motorio come guida per condurre con sé il bambino verso un’apertura possibile
Daniele si ferma un momento e pare rilassarsi disteso sui materassi.
Avvicina la sua mano al viso e la passa davanti agli occhi fermandosi a guardare, intensamente, il movimento delle dita.
Mi avvicino a lui e, con delicatezza, lo sollevo a testa in giù, prendendolo per le caviglie. Subito Daniele, nell’attivazione globale e inaspettata, manifesta i segni di una grande piacevolezza e scoppia in una risata aperta e fragorosa. Nel breve istante che trascorre a testa in giù, siamo davanti allo specchio e il suo sguardo è come meravigliato e interessato per quello che vede riflesso. Tocca con le mani libere il suo corpo, che per la posizione si è un po’ scoperto, e tenta di tirare giù la maglia che si è sollevata.
Non smetterò mai di stupirmi per l’effetto, così subitaneo, di questo tipo di attivazione globale delle sensazioni. Tutti i bambini, anche con patologie molto gravi, sembrano riconoscersi mentre si vedono in un mondo rovesciato. Naturalmente è solo un’impressione, ma dà il senso di quello che si produce, a partire dal risveglio di sensazioni che nascono in una rottura tonica, se questa è calibrata correttamente sulle «possibilità di esserci» di un bambino.
Dopo una manciata di secondi, lo poso con delicatezza sul materasso.
Daniele si rilassa immediatamente, i tratti del volto sono distesi, l’espressione è molto aperta. Il suo sguardo ridente vaga finché incontra il mio e, allora, alza in modo indifferenziato le braccia e le gambe muovendole contemporaneamente. Un’offerta confusa che evidenzia l’inizio di un richiamo all’altro perché il gioco si ripeta.
Non è ancora una mentalizzazione ma, seguendo «il lumicino» del piacere del movimento, possiamo già, a questo punto, prevedere che incontreremo il bambino. È una regola assai semplice, ma assolutamente efficace. Seguono, nel corso della stessa seduta, altri momenti di questa configurazione di gioco che condurranno alla prima trasformazione importante: al momento dell’appoggio al suolo, Daniele muoverà, ancora, contemporaneamente le braccia e le gambe, offrendole in maniera indefinita, ma indirizzerà subito, e in maniera decisa, il suo sguardo verso il mio aumentando l’intensità del suo sorriso nell’incontro. Siamo già in una condivisione che, allo stesso tempo, è “creata da” e “crea” l’ambito proprio del piacere.
Si è avviato un processo di mentalizzazione, ovvero l’esperienza inizia ad esistere come traccia dell’esperienza stessa e, contemporaneamente, si è aperta la strada ad una forma di ripetizione che presuppone, nel bambino, il costituirsi della presenza dell’Altro.
È questo che differenzia una ripetizione, che è apertura di uno spazio per la nascita del soggetto, da una stereotipia.
Il passaggio successivo potrò osservarlo in una delle sedute seguenti, quando Daniele, nel momento dell’appoggio al suolo, che segue un’unità di gioco «a testa in giù» particolarmente piacevole, attiva e coordina il seguente schema d’azione: sorride guardandomi fermamente negli occhi e alza le gambe verso di me, offrendole in maniera precisa alle mie mani. Si può così vedere come l’unità dell’azione, la presenza del soggetto e la comunicazione corretta e competente con l’Altro nascono contemporaneamente.